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Il Mondo del Latte

4 DOMANDE A: ENRICO FINZI

12-12-2014

Presidente AstraRicerche


Enrico Finzi è uno dei massimi esperti italiani di sociologia e di marketing ed è un volto molto noto sia nel mondo dei media che in Assolatte. Milanese doc, Finzi ha una laurea in filosofia e una specializzazione in psicosociologia, materie alle quali ha dedicato tutta la sua vita professionale.

Ha insegnato alla Statale e alla Bocconi di Milano e ha diretto numerosi istituti ed enti di ricerca. Per anni è stato presidente dell’Associazione italiana pubblicitari professionisti e vicepresidente dell’Aism (Associazione italiana per gli studi di marketing). Oggi è alla guida di AstraRicerche, una delle più importanti società di indagini sociali e di marketing del nostro Paese.

Giornalista professionista, è autore di saggi e studi di sociologia, marketing e storia contemporanea, tra cui “Come siamo felici. L’arte di godersi la vita che il mondo ci invidia” e “Over 45. Quanto conta l’età nel mondo del lavoro”.

Uomo di grande cultura e ironia, Finzi ha sempre associato preparazione e rigore scientifico alla simpatia e a una capacità comunicativa fuori dal comune. Per i tipi di Bompiani è uscito da pochi giorni il suo nuovo libro dal titolo “La vita è piena di trucchi”. Lo abbiamo incontrato in occasione della presentazione del volume e gli abbiamo posto alcune domande.

1. Professore, prima di tutto complimenti. “La vita è piena di trucchi” è un libro che si legge con piacere, grazie a una penna e una prosa davvero gradevolissime. Come mai, dopo tanti studi sugli altri e sulla società, ha deciso di scrivere una vera e propria autobiografia e di raccontare se stesso?
Tutto è cominciato cinque anni fa, quando la maggiore delle mie nipoti, Matilde, che ora ha dieci anni, ha scoperto che quando io ero bambino non  avevo il cellulare. Per lei è stata una scoperta dirompente: il passato è diventato improvvisamente interessante. Così ha cominciato a farmi una serie di domande, arrivando addirittura a chiedermi: “Nonno, quando eri piccolo l’acqua c’era?”.

È diventato un gioco tra di noi e per tre anni ho smesso di raccontare alle mie nipoti storie e favole e ho parlato di me e della mia infanzia. Mi sono appassionato ai racconti e ho pensato di trasformare le storie in un libro. Il mio progetto è piaciuto a Bompiani, ed eccoci ora nelle librerie.

2. Oltre che a viverli sulla sua pelle, il suo lavoro l’ha portata ad analizzare e studiare tantissimi cambiamenti sociali e culturali che hanno riguardato il nostro Paese e la nostra quotidianità. Ma quali sono le piccole rivoluzioni che l’hanno colpita di più? Quali quelle che, secondo lei, hanno inciso in modo determinante sul nostro vivere quotidiano?
I cambiamenti sono stati davvero tantissimi, alcuni possono forse sembrare minori, ma hanno grossa influenza sulla quotidianità. Per esempio, dai nostri studi emerge con evidenza un diffuso malessere per l’imbarbarimento della vita quotidiana. Se ne lamenta circa l’80% degli italiani. Cafonaggine, maleducazione, perdita di gentilezza nei rapporti interpersonali sono cose piccole, forse, ma angustiano una fetta importante dei nostri connazionali.

Dal punto di vista sociologico, invece, credo che la differenza più grande tra gli anni ’50 e oggi sia la perdita di speranza. Quelli della mia età hanno vissuto il periodo della crescita e dello sviluppo post bellico.

Noi eravamo sicuri che il nostro futuro sarebbe stato migliore del presente. Quasi tutti noi sviluppavamo progetti, contribuendo a costruire il domani. Attenzione, non tutti avevamo le stesse idee, ma eravamo accomunati da una spinta progettuale.

Oggi, invece, tre giovani su quattro hanno paura del proprio futuro: lo trovo molto grave. Perché fa aumentare lo stress collettivo (un po’ di sano ottimismo sarebbe fondamentale per la crescita della società). La stagnazione economica dell’ultimo ventennio è un vero e proprio furto di futuro alle generazioni dei 20-40enni, porta a una perdita di progettualità e fa crescere il divario tra giovani e anziani.

L’altro enorme cambiamento sociale è legato all’aspettativa di vita. Ancora un secolo fa gli italiani vivevano in media 43 anni; oggi le donne hanno doppiato quella cifra e gli uomini quasi. È un cambiamento della struttura sociale, che – permettetemi una “consulenza” di marketing – non può non avere effetto sulla comunicazione del vostro settore. Se aumentano gli ultrasettantenni, allora si rafforza la necessità di consumare prodotti lattierocaseari, per esempio per il mantenimento dello scheletro. E si aprono nuovi mercati per alcune categorie di prodotti, come i formaggi molli, che sono perfetti per chi – come gli anziani – ha problemi di masticazione.

3. Tra tutti i mezzi e gli strumenti di comunicazione – dalla radio, alla televisione per arrivare ai pc, a internet, agli smartphone e ai tablet – ce n’è qualcuno che, a suo avviso, ha avuto maggior effetto ed efficacia nel cambiamento?
Le ricerche che conduciamo ci confermano che – almeno in Italia – lo strumento che più di ogni altro ha contribuito a modificare le abitudini è stato il cellulare, specialmente da quando si è evoluto in smartphone. Invece il pc ha avuto minore diffusione e capacità di cambiamento. Possiamo dire che il telefono portatile è stata la via italiana al web e alla tecnologia.

Probabilmente ciò dipende dal fatto che gli Italiani amano parlarsi e stare in contatto e, da questo punto di vista, lo smartphone è perfetto per mantenere vivi i rapporti personali, anche solo virtuali.

4. Nel suo lavoro si è occupato spesso di food e di alimentazione. Viviamo in un’epoca in cui tutti credono di essere esperti di cibo. Trasmissioni televisive, blog, siti web, libri di cucina: non c’è luogo in cui non si parli di alimentazione. Da cosa dipende questa nuova mania degli italiani?
Ha proprio ragione: il cooking è diventato una vera e propria mania collettiva. Pensi che nel corso dell’ultimo anno il numero di libri di cucina che sono stati pubblicati è raddoppiato. Credo che tutto dipenda da tre elementi. In primo luogo è una moda. E, quindi, si autoalimenta. Però, proprio in quanto fenomeno, la moda è caduca e potrebbe finire in fretta. Poi c’è una componente sociale. Il modello di famiglia è cambiato e oggi ci sono tanti single, separati, anziani che vivono da soli. Per ragioni organizzative, ma anche di bilancio familiare, farsi la spesa e cucinare è molto più economico.

Infine, non va trascurato l’aspetto sociologico: viviamo in un periodo in cui le grandi cose sono deludenti. Allora, gli Italiani cercano la felicità nelle piccole cose e nei piccoli piaceri della vita. Mangiare e bere bene, cucinare per gli amici sono cose semplici che danno molta soddisfazione.

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