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Il Mondo del Latte

5 DOMANDE A GIAMPIERO LUGLI

19-01-2016

Le neuroscienze possono aiutare a comprendere meglio i comportamenti dei consumatori, ma anche educarli a mangiare più sano. Un approccio innovativo per il marketing nutrizionale


Tradizionali ricerche di mercato, certo, ma affiancate al neuromarketing, altrimenti le aziende sprecano soldi inutilmente. Questo il messaggio lanciato all'industria alimentare (e non solo) da Giampiero Lugli, professore ordinario di Marketing distributivo presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli studi di Parma, dove insegna neuroshopping e coordina un laboratorio di marketing nutrizionale.

Lugli ha appena pubblicato "Cibo, salute e business. Neuroscienze e marketing nutrizionale", edito da Egea, dove spiega l'importanza del neuro marketing nella lotta all'obesità, in quanto strumento utile per indirizzare le scelte d'acquisto verso cibi ipocalorici, senza costringere i consumatori a faticose rinunce.

Nel testo Lugli invita l'industria alimentare a creare cibi meno calorici e a ridurre il contenuto di grassi e sale, perché gli alimenti "corretti" alla lunga si vendono meglio, dato che la domanda di salute è in forte crescita e il gusto del consumatore può essere modificato in poco più di un mese.

Del resto, gran parte dei nostri acquisti non sono frutto di un'analisi delle informazioni disponibili e di deduzioni logiche, ma semplici reazioni viscerali a marcatori somatici. L'evoluzione della specie e la nostra esperienza hanno lasciato segni indelebili nel nostro cervello emotivo e ci aiutano a scegliere rapidamente tra diverse opzioni. Ma le preferenze alimentari moderne, oltre che su cibi ipercalorici, si orientano sempre più anche al salutismo, a prodotti privi di grassi o di zuccheri, o in cui il loro quantitativo è stato drasticamente ridotto, per arrivare a comportamenti etici (vedi i vegani) che portano all'eliminazione e alla demonizzazione (spesso scientificamente immotivata) di alcuni alimenti.

Tutti atteggiamenti su cui il neuroshopping può aiutare a far luce e a intervenire in modo efficace.

1. Professor Lugli, perché l'applicazione delle neuroscienze al marketing è così innovativa?
Ogni volta che la nostra mente deve decidere se e cosa acquistare, siamo inconsciamente coinvolti in una tempesta di emozioni di diverso segno; è il prevalere delle emozioni di segno positivo su quelle negative che porta alla decisione d'acquisto. Mi meraviglia, dunque, che la ricerca di marketing delle imprese sia ancora fortemente centrata sulla mente cognitiva e trascuri il ruolo della mente emotiva nell'orientare il comportamento di acquisto e consumo.
Le imprese commettono oggi molti errori nel lancio dei nuovi prodotti e nella comunicazione pubblicitaria, a causa dell'inadeguatezza delle informazioni prodotte con le ricerche di marketing. Questi errori e sprechi di risorse sono una naturale conseguenza del fatto che non è possibile scoprire ex ante cosa vuole il consumatore semplicemente chiedendoglielo, magari tramite un questionario o attraverso focus group. Spesso il consumatore non sa, infatti, cosa vuole e/o dà risposte cognitive diverse da quelle emotive che determineranno poi il suo comportamento di acquisto e consumo; di conseguenza, normalmente si verifica uno scostamento tra dichiarazioni e comportamento effettivo.
Per superare questi ostacoli e migliorare la conoscenza del consumatore, sono state sviluppate metodologie che registrano l' impatto fisico degli stimoli di marketing. Per quanto riguarda, in particolare, i prodotti lattiero-caseari, ricordo che i consumi di latte sono storicamente decollati quando l'innovazione tecnologica consentì la lunga conservazione e gli investimenti di marketing trasformarono una commodity in un prodotto di marca. La sponsorizzazione sportiva e la pubblicità permisero, infatti, di modificare l'immagine del latte da prodotto per bambini ad alimento per adulti e "latte da campioni".

2. Le neuroscienze possono aiutarci a capire come nascono e si diffondono certe "bufale" nutrizionali, senza alcun fondamento scientifico, che mettono all'indice alcuni alimenti, demonizzandoli?
Per comprendere le ragioni della distanza psicologica che si sta creando tra prodotti e consumatori, non si possono usare le tecniche di ricerca tradizionali. Infatti, per comprendere la risonanza emotiva alla vista e al consumo di questi cibi, occorre impiegare tecniche neuroscientifiche per costruire indicatori biometrici in grado di misurare le risposte fisiche agli stimoli. Per sostenere i consumi dei prodotti lattiero-caseari non basta dunque evidenziare la loro qualità nutrizionale; i nostri acquisti sono più orientati dalla mente emotiva che dalla mente cognitiva.

3. Lei sostiene che le imprese industriali potrebbero ampliare il portafoglio dei prodotti, inserendo cibi più sani, benché meno appetibili, visto che il gusto del consumatore può essere modificato in poco tempo. Ma allora perché i consumi di cibi "nutrizionalmente corretti" e apprezzati, come i prodotti lattiero-caseari, sono in calo?
Il mondo sta ingrassando, ma cresce anche la consapevolezza della necessità di evitare o almeno contenere il sovrappeso e l'obesità. La domanda di prodotti con ingredienti che aiutano a mantenere la salute e il peso forma è consistente e in crescita in tutti i Paesi. Produzione e commercio stanno dunque rispondendo a quest'evoluzione del mercato, affiancando alla competizione per il gusto quella per la salute. Le politiche che hanno contribuito ad affermare comportamenti di acquisto e di consumo orientati alla gratificazione immediata sono ora bilanciate da strategie mirate a soddisfare il segmento di domanda che vuole coniugare alimentazione e salute. Nielsen ha rilevato che il 50% dei consumatori intende perdere peso sia cambiando dieta sia riducendo le porzioni; in particolare, le persone che devono dimagrire ritengono che cambiare la dieta sia più efficace dell'attività fisica. Infine, gli intervistati da Nielsen dichiarano, con un'incidenza che varia dal 25% al 40% a seconda dei Paesi, di essere disposti a pagare un premium price per acquistare prodotti ipocalorici e più corretti sul piano nutrizionale. Si può dunque ben comprendere l'evoluzione dell'orientamento industriale, che è passato dalla fase negazionista all'assunzione di impegni generici nei confronti del Governo fino allo sviluppo di prodotti light, free from e funzionali, oltre alla monoporzionatura delle confezioni. Le imprese hanno interesse a soddisfare questo segmento di clientela per sostenere i loro profitti, più che per affermare una sorta di responsabilità sociale, ma è il risultato che conta.

4. Cosa possono fare gli operatori del lattiero-caseario per comunicare in maniera efficace la bontà e salubrità di latte, yogurt e formaggi, difendere le loro produzioni sul mercato e lanciare nuovi prodotti di successo?
Non credo che l'industria lattiero-casearia abbia bisogno dei miei consigli per gestire il rapporto con i suoi clienti. Si tratta di aziende che hanno contribuito in maniera rilevante alla nascita e allo sviluppo del marketing dei prodotti di largo consumo. Ho già citato la trasformazione del latte da commodity in prodotto di marca. Aggiungo il caso dello yogurt, dove il lancio di prodotti funzionali ha permesso di realizzare grandi successi. L'ultima scoperta del marketing orientato alle emozioni nel settore lattiero-caseario è l'eccitazione dell'emozione primaria più importante: la paura. Mi riferisco ai marcatori somatici creati pubblicizzando cibi funzionali che ci aiutano a prevenire o a curare problemi di salute migliorando, di conseguenza, anche il nostro benessere psicologico.

5. Nel suo libro lei afferma che i comportamenti alimentari corretti dovrebbero essere incentivati anche da un "marketing di Stato". Visto il ruolo fondamentale del latte e dei prodotti lattiero-caseari durante la crescita, non crede che le istituzioni dovrebbero favorirne il consumo?
Lo Stato ha un ruolo importante nell'educazione alimentare. Ad esempio, interviene a sostegno dei prodotti tipici combattendo la contraffazione, che ha tra le sue vittime principali anche un formaggio, il Parmigiano Reggiano. Inoltre, lo Stato dovrebbe avere un ruolo importante nella comunicazione nutrizionale, ma non lo svolge in maniera efficace, perché la centra su contenuti cognitivi anziché emotivi. Le scoperte neuroscientifiche potrebbero orientare i bambini verso un'alimentazione corretta attraverso stimoli inconsci contestualizzati in meccanismi di gioco. Molto di più ci sarebbe da fare anche in fatto di etichette per i nostri prodotti tipici. Il caso delle traffic light label inglesi è emblematico.