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Il Mondo del Latte

L'EDITORIALE DE IL MONDO DEL LATTE

04-11-2015

Novembre 2015


È novembre. La grande avventura di Expo Milano è terminata, si torna alla vita di tutti i giorni.

In questi sei mesi su queste pagine abbiamo parlato poco della manifestazione. Ma non l’abbiamo fatto per snobismo: non ci siamo accodati alla schiera dei criticoni e dei disfattisti, di quelli che dicevano che l’Italia non ce l’avrebbe mai fatta. Al contrario, abbiamo sempre fatto il tifo perché tutto andasse bene, senza però unirci al gruppo degli entusiasti a priori, a chi pensava che la manifestazione sarebbe stata un punto di svolta epocale per la cultura alimentare del mondo.

Oggi che tutto è finito e si comincia a ragionare sul futuro dell’area, dei padiglioni e – con termini forse un po’ pomposi – sull’eredità lasciata da Expo, facciamo qualche riflessione.

Dal punto di vista organizzativo è stata un successo. Milano ha assorbito bene i grandi flussi arrivati per visitare il sito espositivo e la quotidianità di chi vive nella metropoli lombarda non è stata stravolta. Forse si è alzato qualche mugugno da parte del mondo alberghiero e della ristorazione cittadina, che si aspettavano di più, ma è indubbio che l’organizzazione abbia funzionato.

Anche l’immagine del nostro Paese ne è uscita bene. Innumerevoli delegazioni sono arrivate in Italia, l’accoglienza è stata sempre adeguata. Del resto abbiamo la fortuna di essere stati padroni di casa in una dimora meravigliosa.

Bello il sito espositivo. Girare tra i padiglioni (anche se entrare a visitarli, soprattutto negli ultimi tre mesi, era proibitivo) è stata una bella esperienza: un mix di architetture esotiche e di strutture basic, una fusione tra eleganza e kitsch, che aveva il suo fascino. Ed è stato interessante scoprire le culture lontane o lontanissime che sono venute a raccontarsi ai visitatori.

Tutto bene, quindi? No, non tutto.

Quello che è mancato – a nostro avviso – è stata una discussione concreta, sincera e moderna sul modello alimentare del futuro.

Tutti hanno raccontato di sé. L’Italia ha messo in campo le proprie prelibatezze. Tantissimi hanno raccontato i propri prodotti tradizionali, le proprie radici culturali alimentari.

Se l’obiettivo era quello di fare passi avanti e di interrogarsi su un modello alimentare che possa dare più cibo a tutti, distribuire meglio nel mondo le risorse alimentari, permettere a un numero crescente di persone di migliorare la propria qualità della vita, è evidente che la manifestazione è stata un successo solo parziale.

La Carta di Milano è un’idea affascinante e piena di ottimi spunti di riflessione, ma si tratta di un elenco di dichiarazioni sul quale non si può che essere d’accordo.

Ed è altrettanto vero che quasi tutti sono rimasti sulle proprie posizioni.

Basti pensare al grande tema degli Ogm, che per molti Stati sono il futuro del pianeta, mentre per altri sono un male da sconfiggere e combattere (salvo poi farne entrare nei propri confini milioni di tonnellate ogni anno).

Non dimentichiamo, infine, un vero e proprio paradosso.

Nel cardo, nel decumano e nelle strade laterali si vedevano decine di migliaia di persone che – a qualunque ora del giorno – mangiavano; i ristoranti del sito espositivo erano sempre pieni, nei mesi dell’esposizione si è parlato di cibo come mai in precedenza, eppure i dati sui consumi alimentari del semestre maggio-ottobre dicono che si è comprato meno cibo che in passato.

Del resto parlare (e si è parlato tanto) con la bocca piena è segno di pessima educazione.

Ora che i riflettori si sono spenti, speriamo si parli un po’ meno e si vada di più al supermercato.

 
Adriano Hribal


 
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