MENU

Il Mondo del Latte

4 DOMANDE A: PAOLO ZANETTI

10-03-2015

Vicepresidente di Federalimentare


 
Paolo Zanetti è il nuovo vicepresidente di Federalimentare. La nomina è arrivata lo scorso dicembre, quando l'assemblea della federazione è stata chiamata a decidere la squadra che affiancherà il nuovo presidente, Luigi Scordamaglia, e conferma l'importanza del settore lattiero-caseario italiano, primo nel panorama alimentare nazionale. A Zanetti è stata affidata la delicata delega al "made in Italy" e aIl'internazionaIizzazione, temi fondamentali per il food tricolore.

1. Le deleghe che ha ricevuto sono molto importanti. Se il mercato interno è stagnante o addirittura in calo, all'estero il food made in Italy è sempre più apprezzato e le esportazioni sono in netto aumento, sia all'interno del mercato europeo che nei Paesi extracomunitari. Quali sono le ragioni di questo successo? Quali i paesi più importanti, quelli sui quali scommetterebbe?
AI di là di tanti discorsi, le ragioni del successo sono la genuinità, la varietà e la bontà dei nostri prodotti e della cucina italiana. Per il 2015 oltre ai Paesi Ue nel loro complesso, scommetto sugli Usa, complice il doppio effetto cambio euro/dollaro a noi favorevole e l'andamento dell'economia americana. Scommetto poi sul Sudest asiatico, che cresce sempre a buoni ritmi. Speriamo che il mercato dei cambi ci dia una mano.

2. I risultati che il settore ha raggiunto sono di tutto rispetto, ma potrebbero essere ancora migliori. Cosa bisognerebbe fare per favorire le performance delle imprese alimentari italiane all'estero? Quali le criticità che andrebbero risolte, quelle sulle quali le istituzioni dovrebbero lavorare meglio per favorire la crescita dell'export?
Ci sarebbe molto da fare!
Esportiamo "solo" il 20,5% della nostra produzione alimentare, contro il 27% dell'industria francese e il 33% di quella tedesca. Uno dei punti sui quali bisogna agire con impegno è quello delle barriere non tariffarie. Sui giornali si legge sempre del potenziale dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, ndr), ma non si dice che in Brasile tengono bloccati i nostri container per settimane solo per burocrazia interna e che la Russia è chiusa dall'embargo. Che India e Cina hanno enormi criticità in termini di etichettatura e dogane. Senza dimenticare i problemi che abbiamo avuto con la Corea del Sud. Ci vorrebbe massima attenzione da parte del Governo, delle ambasciate e dei consolati per risolvere questi problemi in modo celere. Altri temi molto sensibili per il nostro export sono i trattati di libero scambio, la lotta alla contraffazione e l'ltalian sounding. E poi c'è da lavorare sulla nostra immagine all'estero per attrarre turismo. C'è una correlazione diretta tra turismo ed esportazione di prodotti alimentari. In Spagna, per esempio, l'aumento del turismo ha determinato un proporzionale incremento dell'export.

3. Internazionalizzazione "fa rima" con "made in Italy", altro tema chiave per le imprese italiane. C'è molta incertezza su questo aspetto e si confonde l'etichettatura di origine con la tracciabilità delle produzioni e con il marchio "made in Italy". L'Italia ha anche tentato alcune fughe in avanti su questo tema con leggi che sono state stoppate dalla Commissione europea. Qual è la sua posizione al riguardo?
Ho la sensazione che al posto di affrontare questo tema in modo pragmatico si preferiscano i proclami.
Sull'etichettatura di origine dobbiamo uscire dal cuI de sac  nel quale ci troviamo da troppi anni. Non si può andare avanti con l'Italia che fissa regole che vengono smentite dalle autorità comunitarie. Questa battaglia non può passare sulla pelle delle aziende di casa nostra: l'Europa ci dica come dobbiamo regolarci e noi lo faremo, come sempre abbiamo fatto. Sul "made in Italy", invece, la nostra posizione è chiarissima ed è condivisa in tutta Europa: il marchio spetta a chi effettua lavorazioni sostanziali nel nostro Paese e non capisco perché dovrebbe essere diversamente. Vogliamo essere trattati come gli altri grandi settori industriali italiani. Moda e arredamento hanno già tracciato la strada maestra, non vedo perché gli altri settori non debbano seguirla.

4. Per conquistare mercati lontani il tema delle regole è determinante. Il Wto ha fallito nel proprio tentativo di regolamentare il libero scambio e ora si lavora ad accordi bilaterali, un lavoro lungo e faticoso. Cosa pensa degli accordi già siglati? E dell'accordo con gli Usa ancora in discussione? Quali sono i punti su cui transigere e quali quelli sui quali non dobbiamo derogare?
Dopo il fallimento del Wto, la sola strada percorribile sembra davvero quella degli accordi bilaterali, anche se non sono la soluzione ideale perché ci costringono a seguire regole diverse sui diversi Paesi. È un male necessario, quindi, che non possiamo che accettare. Stiamo seguendo con attenzione le trattative in corso. Fino ad ora i mediatori europei hanno lavorato bene. Anche se abbiamo dovuto sacrificare alcuni principi, alla fine, gli accordi hanno migliorato le possibilità di scambio. Penso al Canada, dove abbiamo dovuto cedere su alcune nostre denominazioni, ma abbiamo portato a casa un principio importante: chi usa - anche se da decenni - nomi italiani, deve dire che il suo prodotto non viene dal nostro Paese. E abbiamo portato a casa un aumento importante dei volumi che possiamo esportare. Penso alla Cina, dove siamo riusciti a ottenere la tutela di alcuni marchi importantissimi. O alla Corea, che li ha riconosciuti tutti. Proprio pochi giorni fa, a Bruxelles, Europa e Stati Uniti hanno ripreso a discutere dell'accordo di libero scambio. Il discorso lì è ancora più difficile. Ma sono ottimista. Conviene a tutti trovare una soluzione, perché gli interessi in gioco sono enormi. Bisognerà essere pragmatici e gestire i singoli problemi cercando specifiche soluzioni.


© RIPRODUZIONE RISERVATA